martedì 26 febbraio 2008

POLVERE

[..] Kabul non è più, in nessun senso, una città, ma un enorme termitaio brulicante di misera umanità; un immenso cimitero impolverato. Tutto è polvere e ho sempre più l'impressione che nella polvere che mi annerisce costantemente le mani, che mi riempie il naso, che mi entra nei polmoni, in questa polvere c'è tutto quel che resta di tutte le ossa, di tutte le regge, le case, i parchi, i fiori e gli alberi che hanno un tempo fatto di questa valle un paradiso. Settanta diversi tipi di uva, trentatré tipi di tulipani, sette grandi giardini folti di cedri erano il vano di kabul. Non c'è assolutamente più nulla. E questo non per una maledizione divina, non per l'eruzione di un vulcano, lo straripamento di un fiume o una qualche altra catastrofe naturale. Il paradiso è finito una volta e poi dinuovo e poi tante altre volte per una sola, unica causa: la guerra. [..]
Forse ho perso, se l'ho mai avuta, quell'obbiettività dell'osservatore non coinvolto, o forse è solo il ricordo di un verso che Gandhi recitava nella sua preghiera quotidiana, chiedendo di potersi "Immaginare la sofferenza degli altri" per poter capire il mondo, ma davvero non riesco ad essere distaccato come se questa storia non mi riguardasse.
-T.Terzani.-


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