lunedì 20 luglio 2009

E non ci sono strade che ci portano fino alla luna, non c'è il mare in quest'universo che mi abbraccia e mi stringe e mi scalda. E non c'è il silenzio tra le parole che diciamo, non s'abbattono come maremoti dentro l'anima per riflettere l'immenso che m'appartiene. La paura che incombe. Un desiderio che sa di tramonto. Una luce che risplende fioca nell'anima, che mi avverte del rischio. Farsi male, scappare, rincorrersi, ritrovarsi e poi fuggire dinuovo. Nel vuoto che si placa dentro me. Mi riempio di me stessa per sotterrare quella voce che vuole urlare. Resta lì se nessuno ti ascolta. Cercare i paesaggi tra i tuoi occhi, trovarli e non potercisi avvicinare. La paura che incombe. Lasciarsi trasportare dal vento, lasciare che mi sollevi nell'aria come foglia e poi mi sbatti a terra, piano piano l'atterraggio. E vorrei che mi coccolassi, che mi proteggessi, che mi stringessi forte al petto. Vorrei che ogni bacio fosse come il primo, come quando mi hai preso la mano e l'hai portata al tuo petto per dirmi: lo senti?! E ci sono strade sbarrate di anni di cemento. E picchio il mio martello per distruggere il muro che oppone resistenza. Una crepa, forse due. Il muro che traballa e poi resta alto e possente sotto al sole cocente, che forse dai, prima o poi si squaglia. Ne resto aggrappata con le unghie. Ma non serve a niente stare qui. Ho sbatutto forte la testa su di un macigno che forse non si sposterà mai.




mercoledì 15 luglio 2009

Riuscivi a tenermi gli occhi spalancati e il cuore palpitante li, attaccata a quello stereo.
Era un pomeriggio come un altro e io avevo forse sei anni.. mi intufolavo in camera di mio zio, a quel tempo diciottenne, e rovistavo nei suoi cassetti, nei suoi diari, in cose che non mi riguardavano affatto. Restavo ad ammirare i disegni che le faceva quella ragazza, quella sua amica, che solo oggi capisco possa esser stata la sua ragazza. Ovunque vi era di lei una scritta colorata, un suo disegno, qualche fiore. Mi piaceva e cercavo di imitarla. Poi rovistando a fondo in quei cassetti tirai fuori quella cassetta musicale. Gliela aveva fatta lei a riconoscere dalla scrittura. C'era scritto Michael Jackson. Mi misi ad ascoltarla e me ne innamorai subito. Quando mio zio tornò a casa mi trovò ancora ad ascoltarla e mi chiese dov'è che l'avessi presa. Risposi mentendo che stava già lì. "Posso tenermela?", sarà stato lo sguardo di una nipote piccololina, ma disse che potevo tenermela. Ero contentissima! La misi tra gli oggetti a cui tenevo di più. Non avevo una camera tutta per me a quel tempo, ma una vetrina. Si proprio così, avevo una vetrina tutta ordinata, tutta mia. Dentro c'erano quei giochi a cui tenevo di più, le poesie che scrivevo, alcuni disegni, due o tre bamboline. Dovevano stare li ed essere guardati nemmeno io li usavo mai. Non quelli, che poi si roviano. Da quel giorno tutti i pomeriggi ascoltavo quella cassetta, tanto che mio nonno andava in giro per casa dicendo: "E basta co sto michael jackson!". E io tutta sorridente gli dicevo: "Ma senti che bello! senti che bello!!" poi tutte le volte la riponevo nella sua custodia con la sua scritta grande e dinuovo esposta in vetrina, tra gli oggetti top secret.
Fatto sta che da quel lontano pomeriggio non ho mai smesso di emozionarmi con le sue canzoni e ovunque si andasse, ovunque sentissi parlare di lui, mi son sempre sentita tirare in causa, come se in un certo senso parlassero anche di me, si rivolgessero a me. Michael era un genio, un creatore, un inventore, un fenomeno, un artista coi contro c**. Ma si sa, certe doti son dalla nascita.
Mi son sempre domandata se dopo gli scandali e le polemiche non avrebbe venduto più dischi, ma mai avrei pensato che i soldi e la solitudine lo avrebbero portato alla totale distruzione.
E come tutti i geni, si cela quella sottile linea che li divide dalla follia.
Io penso non solo a lui come il più grande artista di tutti i tempi, ma anche come una persona triste e sola..rinchiusa in una vetrina.
Non potevo non dedicarti qualche righa. Sei stato la colonna sonora della mia vita.